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Viola

Lo sport dei record, delle sponsorizzazioni, del divinismo testimonia lo smarrimento dello spirito ludico che dovrebbe caratterizzare la pratica sportiva. Non più per gioco i partecipanti prendono parte alle competizioni, non per gioco i professionisti si confrontano, tanto meno per gioco gli atleti fanno uso di sostanze dopanti.

Successo e sconfitta, posti in antinomia, sono tanto ciò a cui tendere a ogni costo quanto motivo di mancanza di affermazione delle proprie competenze e, perciò, di se stessi.

Ma è forse necessario ripensare lo sport in chiave formativa e non meramente tecnica poiché l'attività sportiva coinvolge indubbiamente il fisico e la sua salute, ma anche la formazione e, perciò, il suo benessere. Lo sport è comunicazione, rispetto, amicizia. Esso può essere luogo di formazione, di trasformazione, di conoscenza e di crescita. Questo, però, può divenire anche spazio nel quale si innescano e si sviluppano percorsi deformativi e diseducativi.

Tempo, cultura, famiglia, storia personale e non solo sono l'uomo e, dunque, sono l'atleta. La complessità che costituisce il legame tra l'uomo – in quanto essenza – e l'unicità con cui egli si relaziona con il mondo, caratterizza il rapporto sussistente tra l'atleta – in quanto essenza – e l'unicità con la quale egli si confronta con il mondo e con il mondo sportivo. Tale considerazione pedagogica può considerarsi quale condizione fondamentale al fine di vivere in armonia un percorso sportivo e le eventuali competizioni che lo scandiscono.

La cura di sé, in quanto uomo e in quanto atleta, è il mezzo capace di orientare alla stenia, all'autoconsapevolezza, alla conoscenza e, perciò, circolarmente alla cura di sé.

Formazione ed educazione sono i mezzi e gli scopi di uno sport che orienta le proprie pratiche alla salute a all’armonia.

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Giorgia Canepa

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